PUBALGIA

PUBALGIA

Il termine “pubalgia” descrive una sindrome dolorosa interessante la regione addomino-pubo-crurale ma senza precisarne la complessità dei quadri anatomo-patologici e quindi le cause. Nonostante la definizione alquanto generica la Pubalgia è riconosciuta come condizione assai frequente nella patologia da sport, tanto da costringere l’atleta a lunghe assenze dagli allenamenti e dalle competizioni per diagnosi imprecise e terapie inadeguate.

Sono state individuate, infatti, almeno 72 cause di Pubalgia, in gran parte muscolari e tendinee (tendinopatie inserzionali, ernie, calcificazioni) ma anche ossee ed articolari (fratture da stress, osteonecrosi) o patologie infettive e tumorali. Diventa quindi fondamentale una diagnosi di tipo eziologico in base alle cause al fine di impostare un trattamento specifico e differente da caso a caso. La causa principale rimane comunque una distrazione muscolare tendinea in prossimità dell’inserzione dell’adduttore al pube e della giunzione miotendinea degli adduttori con possibile coinvolgimento del muscolo retto femorale alla sua inserzione.

Nel calcio sono molti i gesti tecnici che possono favorirne l’insorgenza: salti, dribbling, contrasti e cambiamenti di direzione sono, infatti, movimenti responsabili di sollecitazioni sulla sinfisi pubica così come le qualità dei terreni di gioco e delle calzature.

Il paziente lamenta una sintomatologia comune: il dolore è localizzato a livello inguinale con irradiazione a livello della superficie interna della coscia ed è spesso risvegliato unicamente dall’attività sportiva. Per studiarne le cause è importantissimo dunque un accurato esame clinico effettuato da uno specialista per esaminare dettagliatamente il rachide vertebrale, le anche, il bacino, lo stato neurologico, l’esplorazione del canale inguinale e la parete addominale. Gli esami strumentali richiesti sulla base della visita specialistica si avvalgono di tecniche radiologiche , ecografiche, risonanze magnetiche e T.A.C..

Nel caso della pubalgia classica l’approccio conservativo ha un ruolo dominante e si basa su concetti di prevenzione mediante la fase di riscaldamento con stretching degli addominali e degli ischio-crurali. L’immobilizzazione deve essere quanto più possibile evitata per scongiurare fenomeni deleteri come la perdita di mobilità o l’ipotrofia muscolare , mentre il riposo deve essere osservato dal momento della lesione fino al raggiungimento di una sicura diagnosi. Potranno essere utili nei primi periodi l’uso di stampelle, ghiaccio, terapia farmacologia con antinfiammatori ed un programma di fisioterapia volto alla mobilizzazione, al potenziamento muscolare ed al recupero dei compensi muscolari e degli squilibri posturali. Tra le terapie fisiche le più indicate sono: ultrasuoni, laser ed ipertermia. Tale tipologia di trattamento è efficace per circa il 90% dei casi.

La terapia chirurgica trova, invece, spazio per quelle lesioni che non rispondono alle terapie definite conservative e che sono ormai croniche; in questo caso il ritorno all’attività sportiva non sarà possibile prima di 2-3 mesi.